domenica

1. all'indice:

all'indice è una rubrica che raccoglie giudizi critici, opinioni, appunti sulle novità editoriali italiane;

l'eleganza del riccio:

(lettura di andrea bosco)
"Mi chiamo Renée. Ho cinquantaquattro anni. Da ventisette sono la portinaia al numero 7 di rue de Grenelle, un bel palazzo privato con cortile e giardino interni, suddiviso in otto appartamenti di gran lusso, tutti abitati, tutti enormi. Sono vedova, bassa, brutta, grassottella, ho i calli ai piedi e, se penso a certe mattine autolesionistiche, l'alito di un mammut. Non ho studiato, sono sempre stata povera, discreta e insignificante
."
Non è difficile capire perché, leggendo tale inizio del capitolo secondo di questo romanzo, venga subito voglia di andare avanti. Soprattutto se nel brevissimo capitolo primo avete colto proprio Renée Michael disquisire sull'
Ideologia tedesca di Marx. Già, perché Renée non è una portinaia come tutte le altre: è un'autodidatta con una cultura straordinaria, un'invidiabile apertura mentale e gusti musicali, filosofici e letterari di grande raffinatezza. Studia Husserl, ascolta Purcell, è un'appassionata intenditrice della cultura giapponese e dei film di Ozu, regista giapponese per pochi. Il suo gatto si chiama Lev, in omaggio a Tolstoj. Inoltre i suoi pensieri, il suo sguardo sul mondo sono all'altezza di tale universo culturale. Ma questa Renée, la vera Renée che noi lettori conosciamo, è clandestina.
Lo scopriamo pagina dopo pagina, perché una buona metà del libro è scritta così, in prima persona, come una sorta di diario-confessione al lettore, dove Renée si racconta e descrive il procedere della sua vita mentale e materiale, dal punto di vista della guardiola di rue de Grenelle 7. Renée qui ha scelto, per così dire, di darsi alla macchia, di non svelarsi al mondo, ma di conformarsi a ciò che il mondo si aspetta da una portinaia. Per non essere smascherata, presta grande attenzione a riprodurre tutti gli elementi che collimano con lo stereotipo; ad esempio tiene la televisione sempre accesa, anche se nel retro guardiola ascolta Mahler; presta grande attenzione al lessico e alla sintassi, che volutamente abbrutisce (anche se sussulta, addolorata dagli strafalcioni che invece gli altoborghesi condomini affastellano con pervicace continuità); acquista cibi e prodotti della mediocrità consumista che ci si aspetta da lei. In realtà la lettura del romanzo ci convince, a ogni passo, che Renée è la vera figura nobile della storia; e che i colti e ricchi borghesi che abitano gli appartamenti di rue de Grenelle, oltre alla maggior parte dei famigli che tentano la scalata sociale mostrandosi con essi solidali, sono l'emblema della crassa volgarità.
L'altra metà del romanzo contiene una voce ulteriore che si confessa in prima persona, quella di Paloma Josse, figlia di un deputato, ex ministro, che abita uno dei lussuosi appartamenti di rue de Grenelle. "Io ho dodici anni, abito al numero 7 di rue de Grenelle in un appartamento da ricchi. I miei genitori sono ricchi, la mia famiglia è ricca, e di conseguenza mia sorella e io siamo virtualmente ricche. (…) Si dà il caso che io sia molto intelligente. Di un'intelligenza addirittura eccezionale. Già rispetto ai ragazzi della mia età c'è un abisso. Siccome però non mi va di farmi notare, e siccome nelle famiglie dove l'intelligenza è un valore supremo una bambina superdotata non avrebbe mai pace, a scuola cerco di ridurre le mie prestazioni, ma anche facendo così sono sempre la prima della mia classe". Talmente matura, Paloma, che ha deciso di suicidarsi. La sua parte di diario, che è scritto con un carattere tipografico differente da quello di Renée, in modo da renderlo immediatamente evidente, contiene la cronaca dei giorni che precedono la data in cui ha deciso di togliersi la vita.
Così il libro assume una struttura isomorfa e perfettamente speculare. Nello stesso palazzo due personaggi si nascondono, occultando la propria straordinaria natura dietro gli stereotipi del proprio ruolo sociale (la portinaia, la ragazzina). Come mandare avanti la storia? Con l'entrata in scena di un nuovo ricco e affascinante condomino che prende il posto di un altro, che muore per il bene della storia. E il nuovo personaggio è Monsieur Kakuro Ozu (come il regista!), un non più giovane signore giapponese, la cui raffinata natura, che porta in sé il meglio del mondo orientale, ha il dono di guardare lontano e smascherare le due figure: "Non mi hanno riconosciuta" dice Renée a Ozu. "È perché non l'hanno mai vista (…). Io la riconoscerei sempre e comunque". È questa la vera cifra del romanzo, che il titolo nasconde: "Madame Michel ha l'eleganza del riccio – scrive Paloma, – fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti".
Ciò a cui conduce lo smascheramento condotto da Monsieur Ozu porta alla catastrofe, nel senso etimologico dell'espressione greca. Non andrò oltre nel raccontarlo, anche perché il libro, che a un certo punto dopo le prime cinquanta pagine sembra arenarsi, ritrova nelle ultime cinquanta un andamento vertiginoso che spinge con frenesia il lettore alla conclusione.
Muriel Barbery, scopriamo, è docente di filosofia. Ha ottenuto con questo romanzo numerosi premi e soprattutto, uno straordinario successo di pubblico in Francia, ma anche da noi. Ma ha forse voluto esagerare. Perché la parte in cui parla Paloma è la meno credibile, e alla sua vena suicida neppure lei sembra crederci molto. E dunque tutte le volte che la penna di Renèe si sta sbizzarrendo e vorremmo leggerne ancora, troviamo a importunarci questa bambina un po' saccente. La parte più bella del libro è nella figura di Renèe. Dove ci diverte nella dissimulazione con i pretenziosi condomini, certo. Ma anche dove ci incanta: avviluppata nei panni dell'antieroina, diventa per noi un'eroina vera, nel parlarci di Husserl o del cinema di Ozu. La prendiamo sul serio. Anche perché una riflessione sociologica e di strisciante lotta di classe sembra venir fuori. Davvero ci colpisce "l'incapacità del genere umano di credere a ciò che manda in frantumi gli schemi di abitudini mentali meschine". La sistematica applicazione di pregiudizi che svolgiamo nella nostra vita quotidiana: non è altro che la storia di 
Cenerentola quella che Barbery ci racconta. E nel saper raccontare quella storia attraverso leggerezza e modernità, continuiamo a volerla ascoltare. 

la pagina nel sito della casa editrice e/o, dedicata all'eleganza del riccio

sabato

festival letterario in Valle d'Aosta? basta crederci


Del perché si può - e si deve - fare

"Settembre andiamo. E’ tempo di festival...". Chiediamo comprensione per quella che è ovviamente una provocazione e diciamo che se Gabriele D’Annunzio fosse ancora vivo, oggi riscriverebbe così il primo verso della sua ode più famosa, sostituendo al verbo migrare il termine festival.
Perché in termini temporali il mese di settembre e l’autunno, secondo "Effetto Festival" ricerca realizzata da Guido Guerzoni, docente di Economia e management delle istituzioni culturali presso l’Università Bocconi di Milano, sono i periodi preferiti dagli organizzatori di manifestazioni culturali in Italia.
Dall’inchiesta, peraltro la prima in materia che sia mai stata fatta nel nostro paese, emerge che l’evento festival letterario si caratterizza per lo svolgersi nel nord-italia a settembre quasi sicuramente in Emilia Romagna e attira mediamente quaranta mila persone. Entrando nel dettaglio si scopre che il 33% delle manifestazioni culturali è dedicata alla poesia e alla letteratura. Si tratta di appuntamenti che in arco di tempo assai breve sono in grado di attirare a Mantova come a Bologna, a Como, a Trani, a Pordenone e a Torino migliaia di visitatori e generare un indotto sempre più significativo, ulteriore dimostrazione che la cultura è in grado di apportare benefici economici al territorio.
Il fenomeno della crescita dei festival va visto dai librai con attivo interesse, perché è diventato a tutti gli effetti una nuova leva d’azione e un innovativo strumento di promozione e comunicazione per l’editoria italiana e anche talvolta per il rilancio del turismo. Pensiamo che per tutti gli operatori qualificati e lungimiranti su questo terreno ci sia ancora spazio di crescita, di maturazione di nuovi percorsi a patto che si trovi davvero la volontà di cooperare innovando coinvolgendo maggiormente sia le amministrazioni pubbliche che le organizzazioni di settore in una logica di pianificazione integrata. Eccolo il fare sistema.
Uno splendido esempio di come si possa collaborare proficuamente nella direzione di cui sopra viene da "Portici di Carta", ideata dal libraio Rocco Pinto, promossa da diversi attori tra cui l’Assessorato Turismo e Commercio della città di Torino, la Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura. Vale la pena di ricordare che lo scorso anno alla sua prima edizione "Portici di Carta" ha richiamato duecentocinquantamila visitatori in due giorni con centoventi librerie coinvolte e oltre ottantamila libri venduti.
Con "Portici di carta", Torino è stato capace di organizzarsi e rinnovarsi dando vita ad un evento che ha portato il libro nel cuore pulsante della città valorizzandone il tessuto commerciale, coinvolgendo le categorie produttive e soprattutto attraendo tanto il lettore forte quanto quello occasionale e il non-lettore.
Con l’edizione di quest’anno che si svolgerà dal ventisei al ventotto settembre il progetto di Rocco Pinto allarga i suoi orizzonti realizzando una collaborazione con "Torino-Spiritualità" manifestazione che nel 2007 ha registrato 30.000 presenze in quattro giorni. Insomma, le vie e le strategie da percorrere e scoprire lungo lo stivale sono ancora tante.
Basta crederci e provarci.

Piero Valleise

venerdì

3. una saltuaria lettura

filosofia aziendale
Il Business del pensiero. La consulenza filosofica tra cura di sé e terapia degli altri, Alessandro Dal Lago (manifestolibri, 2007, pp. 136, euro 14.00)

La fisiognomica non è questione di poco conto. Spesso le facce sono rivelatrici della sostanza delle persone. In questo senso, il caso dei filosofi è veramente emblematico. Il barbone anticapitalista di Marx, i baffetti nazisti di Heidegger, lo sguardo alienato di Nietzsche, la mite e buffa espressione di Spinoza, la scostante bruttezza di Socrate ecc. Nei ritratti dei filosofi prevalgono di gran lunga i tratti idiosincratici, le maniacali posture, i contegni stravaganti, come se il pensiero avesse preso forma e tormento nei lineamenti del loro volto. Al contrario, i consulenti filosofici sono tutti terribilmente uguali. Assomigliano a rampanti manager oppure a rappresentanti di commercio. Un strano e inquietante incrocio tra business men e maestri di saggezza. Belli e abbronzati, in perfetta forma fisica, impeccabilmente vestiti con giacca e cravatta, ventiquattrore e portatile a tracolla, atteggiamento executive, eloquio brillante e perentorio, frasario di inglese e campionario di citazioni a portata di mano, sono questi i sofisti dell'era della globalizzazione. Niente di nuovo beninteso. Già nel II sec. d.C. Luciano di Samosata, nel breve e irriverente opuscolo I filosofi all'asta, denunciava la prostituzione della filosofia ridotta a mestiere redditizio e spettacolare ad appannaggio di ciarlatani, venditori di fumo e professionisti dell'anima.
Per intenderci, stiamo parlando della Consulenza Filosofica (CF), una specie di psicofilosofia nata in Germania e negli Stati Uniti nel corso degli anni Ottanta, che adesso si sta diffondendo anche in Italia attraverso corsi di formazione, master universitari, libri e pubblicazioni, siti internet e tanto di albo professionale. Il bisogno di filosofia è in continua crescita. L'elenco è piuttosto lungo e bizzarro: festival di filosofia, Café Philo, vacanze e viaggi filosofici, Philosophy of Children, Philosophy of Management ecc. Lo slogan è semplice: portare Socrate in azienda, nelle fabbriche, in ufficio, nelle scuole, nel tinello di casa. Secondo la definizione canonica, la CF è “un'attività che si propone di fornire a chi lo richieda (individui, gruppi, organizzazioni), sulla base di un approccio filosofico, supporto, aiuto e orientamento nell'ambito dei processi intellettuali, esistenziali, decisionali o relazionali, senza avere finalità terapeutiche”. Per avere una vaga idea della svendita in corso, si consultino i testi della collana “Pratiche filosofiche” diretta da Umberto Galimberti per la casa editrice Apogeo e si potrà constatare la fine del pensiero tout court. In realtà, al di là del gergo confessionale e imprenditoriale, un misto di maieutica e problem solving, siamo in presenza di un'operazione pedagogica, nell'insieme autoritaria e paternalistica, che vuole inquadrare e disciplinare le persone per renderle docili, produttive e politicamente inoffensive.
In un piccolo e intelligente libro, pieno di lucida ironia e allarmata preoccupazione, Il Business del pensiero. La consulenza filosofica tra cura di sé e terapia degli altri (manifestolibri, 2007, pp. 136, euro 14.00), il sociologo Alessandro Dal Lago non solo decostruisce con acribia e sarcasmo l'ideologia reazionaria della CF ma, più in generale, si sofferma sulla condizione attuale della filosofia. Lo scenario è sconfortante. La filosofia universitaria si è rintanata in una erudizione storiografica autoreferenziale. Quando diventa pubblica e mediatica, si riduce a spiritosa quanto inconsistente conversazione. Ora, con la comparsa della CF, ultima metamorfosi tardocapitalista, si trasforma in una predica edificante da consultorio, finalizzata alla normalizzazione ortopedica del soggetto. Dal Lago ne evidenzia giustamente due aspetti mistificanti. Da un lato il culto, di ascendenza gnostica, dell'interiorità, per cui la realtà esterna è un puro riflesso del Sé individuale, e dall'altro, conseguentemente, un disinteresse totale per la politica che porta alla rinuncia e all'accettazione passiva del mondo così com'è. Davvero esilarante e rivelativo il secondo capitolo dove si fa la parodia di una seduta immaginaria di counseling tra un consulente e un consultante, da cui emerge che “prendere la vita con filosofia” significa acconsentire al sistema, tirare a campare e non protestare mai. Insomma la filosofia dall'originaria agorà si è trasferita nella piazza del mercato.
Come ha mostrato il sociologo Frank Furedi, si sta diffondendo una “cultura terapeutica” che, attraverso la psicologizzazione della vita, ha di mira il controllo e la gestione della soggettività. I problemi sociali vengono interpretati in un'ottica psicologica. Siamo giunti a un “determinismo emotivo” che ha depoliticizzato la vita pubblica. Sotto questo governo delle anime va profilandosi un nuovo conservatorismo più sottile e pericoloso delle religioni e delle ideologie. Sei stato licenziato, la fidanzata ti ha lasciato, i colleghi sono delle carogne ecc. Nessun problema! Spetta a te rinnovarti: trasformare la disgrazia in un'opportunità per scoprire nuove potenzialità creative. Ecco pronta la schiera di pedagoghi, educatori, formatori e consulenti ben disposti a propinarti e fatturarti inutili corsi di formazione e workshop che non sono altro che un addestramento all'asservimento. Un bel modo per coniugare anima e azienda, spiritualità e risorse umane. In una celebre conferenza il filosofo francese Georges Canguilhem, non a caso il maestro di Michel Foucault, ammoniva i psicologi, uscendo dalla Sorbona, a non prendere la strada verso la Questura. Oggi, dopo i manganelli di Genova, le pasticche di Prozac e le varie psicoterapie cognitivo-comportamentali, arrivano gli istitutori della CF a somministrare pillole di saggezza pratica e una buona dose di rassegnazione. Consiglio per giovani apprendisti filosofi. Al cospetto di certe facce, come avrebbe detto Groucho Marx, lontano parente di quel lucianeo Parresiade che amava parlar chiaro, “non so che cosa hanno da dire. Ma comunque non fa differenza. Qualunque cosa sia, sono contro!”

(recensione di Pierluigi Vuillermin)

martedì




marramao dopo aver letto l'ultimo intervento di zizek su massaia oggi



bolano, sui libri, i librai e le amanti di entrambi


nella vita non c'è soltanto decalibro[1]...

Avrei iniziato un mio libro in questo modo, se l'avessi scritto in quel periodo; vivevo ancora a 

Lisbona, studiavo poco e male e soprattutto lavoravo in una piccola libreria al centro del quartiere vecchio. 

Il padrone, un cattolico fondamentalista, era stato un salazarista della prima ora: un parruccone, un pennivendolo, un ometto tutto schiacciato dalle preoccupazioni. 

A immaginarmelo tutto vestito di nero, inneggiante magari a Hitler, non avevo mai avuto nessun problema; più fatica facevo, invece, a figurarmelo giovane, magari spensierato. Doveva (non poteva non esserlo!) già sembrare vecchio, con quella peluria sul collo e quella piccola fessura, una bocca, forse soltanto un po' meno da triglia.(...)

Si tingeva i capelli di nero da sempre, credo; non capirò mai perché i fascisti si tingono i capelli di quel nero da barbiere di periferia. (...)

Le sue vaste letture si limitavano ai "grandi della letteratura mondiale": Tasso, Petrarca e Agatha Cristhie. 

Ma il suo ecclettismo non finiva qua: come tutti i salazaristi si dimostrava, infatti, un grand'amante di Pessoa, del resto senza averci mai capito nulla. 

Una volta ne parlammo, io avevo bisogno del mio stipendio, e soprattutto, lavorando in quel buco, potevo prendere molti libri a prezzo ridotto, cosa per me essenziale, visto che già rischiavo giornalmente di essere beccato a rubare quei libri che la sera stessa avrei letto.  Lasciai perdere quindi le mie ridicole posizioni letterarie e da quella volta in poi gli permisi di straparlare di letteratura o libri.  

Sia chiaro che comunque non avrei certo potuto sopravvivere in quel postaccio, senza essermi mai goduto una piccola gratificazione: si chiamava Estella, ed era, in un certo senso, l'unica cosa, in assoluto, bella di quel cretino: la moglie.

Mi sono sempre chiesto come potesse una donna simile stare a fianco di un gorilla come quello.

La risposta credo stesse, ma so che potrebbe sembrare soltanto un'esagerazione, nel suo amore per i libri, la letteratura e i librai: il marito le procurava libri in abbondanza, le lasciava una bella casa silenziosa in cui lasciarsi rincorrere, la notte, da Mann e Musil; e il giorno, ma soltanto nelle pause, dai librai veri e propri.


(da conseja, cuento, historia. R. Bolano. Madrid 2007, pag 32-33)


una piccola nota: (il traduttore pur di farsi leggere ogni tanto deve ricorrere a questi mezzucci)

1. traduco con "decalibro", programma di gestione del catalogo di una libreria il gioco di parole di Bolano.  

Sanguineti traduceva in italiano utilizzando espressioni idiomatiche latine, tedesche e francesi. Pavese semplificava il suo vocabolario affinché anche i suoi vignaiuoli potessero apprezzare l'orizzonte dell'oceano indiano scorgendoci i colori del tramonto nelle langhe. Montale sembrava scrivesse sempre e soltanto sue poesie; quando traduceva, Milosz e Shakespeare avevano la stessa voce.

cinque libri a settimana

Taccuino minimo di buone letture
Cinque libri a settimana, ovvero i libri che abbiamo letto e che segnaliamo.
Supplemento settimanale senza presunzione letteraria a LA PAGINA AUBERTIANA

La prova del miele di Salwa-al-Neimi.
L’intimità conquistata e il percorso verso la scoperta dell’erotismo fanno da bussola alle vicende di questo libro. Una narrazione splendida e mai volgare di letture clandestine nel fondo della forse più affascinante biblioteca del mondo e di un incontro con un uomo che diviene guida nel cammino dei sensi e del piacere. Tutto diventa materia di una ricerca che fa del corpo il mezzo e il fine della ricerca stessa. La protagonista del romanzo è una donna araba colta e cosmopolita nata a Damasco che vive a Parigi "che ha bisogno del sesso come del cibo". Il libro è di una dolcezza infinita, rilascia il profumo dei cedri.
L’autrice è Salwa-al-Neimi poetessa e giornalista siriana che vive e lavora a Parigi.

Afa di Giulio Angioni
Un uomo, un giornalista, Josto Melis momentaneamente direttore di un periodico sardo abbandona una cena ormai stremato e nauseato da barzellette e battute su corna, cornuti e cornificanti. Sale sulla propria automobile quando inaspettatamente la portiera di destra si apre per fare spazio ad una figura femminile rapida e sconosciuta. La donna scompare così come era apparsa in un battito di ciglia dopo avere evocato Tanìt . Il protagonista del romanzo inizia un viaggio prorompente alla ricerca di sé e delle ragioni della vita, alla ricerca di Tanìt dea primordiale gelosa e bizzosa. Non è difficile sentirsi scandagliati e erosi da questo bel lavoro di Angioni. Fa da sfondo alle vicende la sardegna lontana finalmente da tante banalità e brutalità turistiche. L’autore è antropologo e scrittore.

Missione Londra di Alex Popov
Questo libro contiene punte di comicità assoluta. I fatti narrati si svolgono a Londra e i protagonisti fanno parte della multiuniversalità balcanica della Ambasciata bulgara nel cuore di Londra. I colpi di scena sono continui tra sosia della defunta Lady Diana e malintesi linguistici, tra comparsate di una soi-disant regina e anatre con micro-chip che vengono scambiati per microspie di un qualche servizio di intelligence. L’atmosfera è Kusturichiana (?), alla "Gatto nero, gatto bianco" .
Popov è nato a Sofia nel 1966 ed è uno degli autori più interessanti del panorama letterario bulgaro. L’argomento è assai scivoloso, il rischio di cadere in facili stereotipi è stato evitato con dosi di sarcasmo e ironia da stendere anche il proverbiale aplomb anglosassone. Missione Londra in Inghilterra ha ricevuto dal magazine Clouds il premio come miglio libro dell’anno.

La ragazza che giocava con il fuoco di Stieg Larsson
Secondo capitolo della fortunatissima Millenium trylogy di Larsson autore scomparso prematuramente. Il romanzo vive delle vicende di Lisbeth Salander, donna e hacker dalla personalità complessa che si trova suo malgrado coinvolta in un duplice omicidio. Cerca di aiutarla, tra mille difficoltà causate dalla forza emotiva di Liesbeth il giornalista Michael Blomkuist, già protagonista di Uomini che odiano le donne, primo romanzo della trilogia. Larsson coinvolge davvero, la storia si disvela con un ritmo lento, ma inesorabile. Come nel primo romanzo Larsson non fa sconti a un intero sistema di violenze, tra multinazionali sprezzanti della vita, giudici e politici corrotti, agenti dei servizi ( ma guarda un po’) deviati.
Larsson era un giornalista d’inchiesta come non ce ne sono più, esperto di organizzazioni di estrema destra e neonaziste.

Breve storia di una piccola città di T.R. Pearson
Questo romanzo, scritto nel 1985 viene annoverato tra i classici della letterature moderna americana. Al centro del romanzo troviamo il lento scorrere della vita a Neely, piccolo paese della provincia statunitense nel North Carolina, scrutato da Louis Benfield, ragazzino acuto e ironico. Il ritratto che emerge dagli occhi del giovane Louis è tragicomico e irriverente, i personaggi divengono vieppiù grotteschi alle prese con con piccoli e grandi dispiaceri. Ne esce un affresco della provincia americana che ribaltato nella realtà proposta dai media può essere un utile strumento sociologico di ricerca e analisi.
Pearson è nato nel 1956 proprio in North Carolina , ha scritto una decina di romanzi e ha collaborato con Grisham alla sceneggiatura dei film "L’uomo della pioggia" e "La giuria".
Tra i titoli possono comparire sia libri appena pubblicati e già presenti nelle varie classifiche, sia classici e quant'altro sia piaciuto al nostro pubblico. All'interno della libreria le puntate passate della rubrica

venerdì

Cinque libri a settimana

Taccuino minimo di buone letture, ovvero i libri che abbiamo letto e che segnaliamo.
Supplemento settimanale senza presunzione letteraria a LA VOCE AUBERTIANA.


Vita sentimentale di un camionista di Alicia Gimenez Bartlett.
Gimenez Bartlett è per lo più identificata come la creatrice della fortunata serie di Pedro Delicado e Firmin Garzon. Vale la pena, come sempre in questi casi, dedicare particolare attenzione ad altri lavori che sovente hanno un portato di ricerca maggiore.
Questo romanzo vive della storia di un uomo che guida un tir e che non riesce a concepire la vita se non come un profondo e continuo partire, fuggire (sic), tornare. La vicenda è ritmata e musicata dallo scorrere di corpi immobili: le case, gli alberi, i campi, le automobili e dall’incessante abuso di corpi mobili: la moglie, l’amante, le compagne a pagamento.


Marco Polo. Storia del mercante che capì la Cina di Vito Bianchi
Chi era Marco Polo? Avventuriero o commerciante colto e curioso alla ricerca dell’altro mondo possibile? Viaggiatore informato o spietato millantatore? Qual’è il contesto storico, geopolitico diremmo oggi leggendo Limes, in cui Marco Polo visse e viaggiò?
Vito Bianchi l’autore di questo saggio interessante ripercorre con accurato metodo e buona ricerca la storia di un uomo che percorse i luoghi d’oriente e occidente. Emergono le abilità di un veneziano, anche se i croati sostengono che sia nato a Korcula, che seppe diventare eroe in un modo che si stava stravolgendo.


Uomini e cani e Ferro e fuoco di Omar di Monopoli
Omar di Monopoli è un giovane autore che vive e lavora a Manduria. Questi due romanzi sono tesi e sprecano poche parole, forse nessuna. Nel primo il lettore è scagliato nel cuore più nero e drammatico del sud del nostro paese, in un Salento lontano dalle cartoline turistiche. Tra i personaggi un giovane sindaco ottimista, Milena spaventata e offesa addirittura insanguinata, don Titta Scarciglia che corrompe e fa i soldi, i Minghella che addestrano cani feroci (?) per i combattimenti. Il secondo è una narrazione reale e sconvolgentemente attuale che si svolge nelle piantagioni di pomodoro del Gargano. Gli immigrati che ci lavorano sono pedine di scambio di un gioco atroce. Tra i personaggi Andrej e Mariehla scelta come amante da un boss locale e il Pellicano signore padre padrone di questa terra.


Chi ha paura dei cinesi di Lidia Casti e Mario Portanova
Dopo i fatti di Via Paolo Sarpi a Milano i media hanno grossolanamente tentato di approfondire i temi legati alla migrazione cinese in Italia. Abbiamo necessità di informazioni, riflessioni, dati su quella che è una delle più importanti comunità di migranti nel nostro paese sia economicamente e socialmente che numericamente. E’ un libro che disvela la realtà dei cinesi in Italia tra i lati oscuri e dura e moderna quotidianità globalizzata.


Tra i titoli possono comparire sia libri appena pubblicati
e già presenti nelle varie classifiche che classici e quant’altro sia piaciuto al nostro pubblico.

A cura di Piero Valleise

2. una saltuaria lettura


un gaucho insostenibile

Anversa, Roberto Bolano (Sellerio, 2007, pp. 152, euro 9.00)

Quarant'anni fa il successo mondiale di Cent'anni di solitudine (1967) inaugurò la felice stagione della narrativa sudamericana. Nei decenni successivi l'industria editoriale rese accessibili al lettore occidentale scrittori fondamentali come Asturias, Borges, Cortazar, Rulfo, Guimares Rosa, Onetti, Bioy Casares, Lispector, Puig, Octavio Paz, Carlos Fuentes ecc. per citarne solo alcuni. Oggi, invece, la letteratura latinoamericana sembra essere passata di moda. A parte i due grandi vecchi, Garcia Marquez e Vargas Llosa, gli epigoni non sono certo all'altezza dei loro predecessori ormai dimenticati. In realtà anche il cosiddetto “realismo magico”, questa originale sintesi di nativismo e modernismo che ha caratterizzato il romanzo sudamericano, si è progressivamente ridotto a esotismo folcloristico e consumistico, come nei fortunati e modesti libri di Isabel Allende e di Luis Sepulveda. Per non parlare dello pseudo-romanticismo new age alla Paulo Coelho, volgare esempio di banalizzazione e commercializzazione dei sentimenti per un pubblico analfabeta in cerca di spiagge assolate e misticismo di coppia. Questo, grosso modo, il panorama della letteratura latinoamericana contemporanea.
Tra le felici eccezioni del secondo Novecento si segnala il caso dello scrittore cileno Roberto Bolano. “Un sudamericano perduto nel mondo”, come lui stesso ironicamente amava considerarsi. Nato a Santiago nel 1953, costretto all'esilio dopo il colpo di stato di Pinochet nel 1973, profugo in seguito a Città del Messico, si stabilisce infine in Spagna dove vivrà sino alla morte prematura avvenuta nel 2003. Dopo un'esistenza marginale e travagliata, riesce a pubblicare diversi romanzi e raccolte di racconti di notevole valore. Il suo capolavoro è senza dubbio I detective selvaggi, un libro decisivo e importante a metà strada tra il romanzo di formazione e il pastiche letterario. Negli ultimi anni egli è diventato quasi uno scrittore di culto, letto da un esiguo ma affezionato numero di lettori e molto apprezzato dalla critica ufficiale. In Italia tutta la sua opera è stata tradotta dalla casa editrice Sellerio di Palermo. Con una formula benevola e stringata, potremmo definirlo un Borges melanconico e plebeo, con attitudine anarchica e sovversiva. Per Bolano la letteratura è commento alla vita e viceversa. La sua stravagante cultura da autodidatta, tuttavia, non è mai sterile enciclopedia e vuota erudizione bensì gioco enigmistico e passatempo esplosivo. Nella sua eccentrica opera si manifesta un'incessante contaminazione di generi, stili e registri narrativi. In sintonia con lo spirito delle avanguardie, in primo luogo surrealismo e dadaismo, in essa predomina il gusto ironico e irriverente per la sperimentazione e lo straniamento. Questa singolare miscela di vita disordinata, biblioteca immaginaria e distruzione creativa dà luogo a una specie di realismo sgangherato e visionario, che è la cifra intima e segreta dell'arte di questo scrittore colto, solitario e appartato.
Di recente è uscito Anversa (Sellerio, 2007, pp. 152, euro 9.00) con una densa postfazione dell'ispanista Angelo Morino, nella quale viene riassunta la parabola esistenziale e artistica dello scrittore cileno. Si tratta del primo romanzo scritto da Bolano a Barcellona nel 1980 e pubblicato per la prima volta nel 2002, un anno prima della tragica morte dello scrittore. In questo “primo e ultimo libro” è veramente condensata e distillata tutta la sua irrequieta e stralunata poetica. Il testo si presenta come uno smilzo quaderno di appunti, schizzi e approssimazioni. Brevi capitoli come esercizi di stile, nei quali il flusso poetico si distende e si raccoglie in una prosa giocosa e minuta. Come sempre in Bolano, l'intreccio della narrazione confonde, mescola e stravolge diversi generi letterari. Innanzitutto il romanzo poliziesco: un delitto in un campeggio sulla Costa Brava e uno strano ispettore che indaga. Poi il romanzo pornografico: una bellissima ragazza e una storia di sesso e di perversione. E alla fine lentamente, attraverso una continua deformazione del quotidiano, il racconto diventa autobiografico. La scrittura lieve e precisa si frantuma in visioni, ricordi, episodi e allucinazioni che si accumulano e si ingarbugliano come dolorose epifanie. Tra disperazione, solidarietà e nostalgia, Anversa è infatti il memoriale indolente di un gaucho disorientato, sballottato e smarrito in una città straniera, ai margini della felicità domestica e in balia degli accidenti tumultuosi della vita.
In una conferenza Bolano aveva espresso chiaramente la sua idea di letteratura. Allo stato attuale, sosteneva con tono polemico riferendosi ai colleghi più celebrati, il sistema letterario istituzionale persegue il glamour, il successo sociale, la rispettabilità borghese. La letteratura oggi è diventata buona gastronomia per la classe media planetaria. Ciò che conta è soprattuto la leggibilità (intesa come chiarezza e amenità) e la conseguente vendibilità. Questi “scrittori funzionari”non mordono più la mano che dà loro da mangiare; viaggiano, stanno bene e ringraziano sempre. Al contrario, per il ramingo e testardo Bolano “la letteratura non vale niente se non è accompagnata da qualcosa di più fulgido del mero atto di sopravvivere”.

(recensione di Pierluigi Vuillermin)

borges, sui libri, i librai e i bibliofili

Mi commuovo sovente, sono ormai un vecchio emotivo, ma più di tutto mi commuove vedere dei ragazzi bibliofili. Mi rivedo, immediatamente, a scartabellare tra le pagine e le pagine della biblioteca di mio padre, nei primi acquisti, tra gli scaffali infiniti della biblioteca nazionale parigina e di quella universale.
So, che qualcuno di quei ragazzi a volte commette l'errore di leggermi, e questa è davvero per me una cosa incredibile.
Mi ricordo d'avere sognato proprio in questi giorni di ritornare adolescente e di rileggere per la prima volta kim. Mi viene in mente, ora, quella brevissima favoletta cinese in cui il saggio sogna di essere una farfalla e la farfalla sogna di essere il saggio. Non riesco a non trovare in questo un parallelismo come non riesco realmente a capire se sono io a leggere quelle pagine, che soltanto per un mero caso ho scritto io o se è piuttosto il contrario. (...)
Vorrei, sinceramente consigliare quei ragazzi: quando siete in una biblioteca o in una libreria prima ancora di chiedere aiuto camminate tra gli scaffali, crcate di misurare la libreria con i vostri piedi. E soprattutto spostate i libri, non abbiate il timore di cercare(...)
Il libraio fa di tutto per fare oziare il suo cliente. Che il cliente ozi! O almeno cerchi di non disturbare chi giustamente ozia in libreria.

(Borges. Interviste con la stampa. Trad. gilles)

1. la grande storia della filosofia per immagini.

i grandi nomi della filosofia contemporanea:

topo zizek


"ma cosa mi dici mao?"
(il soggetto scabroso, pag. 89'901)

giovedì

una saltuaria lettura: il viaggiatore incantato

walter benjamin, immagini di città;
(einaudi 2007, pag 144, euro 16.00)

In un provocatorio saggio sulla provincia italiana, l'antropologo Franco La Cecla narra che a una festa milanese un giovane rampollo della borghesia bresciana raccontava agli amici di essere andato in vacanza in Egitto. Cinque giorni a Sharm El Sheik in un albergo di lusso. A suo modo si era divertito: mare, sole, relax, sport, buffet, sesso ecc. Alla richiesta di come fossero gli Egiziani aveva risposto “Carini”.
Così vive e ragiona il moderno turista di massa. Beninteso nulla a che vedere con l'avventura seria e pericolosa che nel 1787 Goethe ebbe a Malcesine sul lago di Garda con gli abitanti del luogo, come riferisce egli stesso nel celebre Viaggio in Italia (1786-1788). Insomma siamo di nuovo alla vecchia contrapposizione ideologica tra viaggiatori e turisti. Già Roland Barthes nelle sue penetranti Mythologies (1957), analizzando le guide turistiche, aveva messo in luce l'operazione di mistificazione che accompagna tutta l'industria del turismo. A suo avviso colorare il mondo è sempre un mezzo per negarlo e privarlo della sua storia. Certamente con la globalizzazione, Internet e il multiculturalismo il contrasto dialettico tra l'uniformazione capitalistica e la pluralità dissonante delle differenze culturali assume percorsi molteplici e controversi. Tuttavia è questo l'inquietante paradosso: nel villaggio globale va scomparendo la capacità di fare esperienza dell'alterità. Inutile comunque rimpiangere romanticamente l'epoca gloriosa del Grand Tour dei viaggiatori europei. Ormai siamo circondati dall'autenticità artefatta del turismo di massa e dagli stereotipi della semicultura mediatica. Infine, per farsi un'idea sul significato e la storia del viaggio nella cultura occidentale, dall'Odissea al turismo globale, si rimanda alla lettura del fondamentale saggio di Eric Leed La mente del viaggiatore (Il Mulino, 1992). Di questi tempi, parafrasando l'esordio dei Tristi Tropici (1955) di Claude Lévi-Strauss, forse il più bel libro di viaggi del Novecento, non ci resta che odiare i viaggi. Meglio allora restarsene a casa, al riparo dall'orda tumultuosa e schiamazzante dei turisti, e magari leggere un buon libro di viaggi.Di recente, a cura di Enrico Ganni, è uscita una nuova edizione aumentata di Immagini di città (Einaudi, 2007, pp. 144, euro 16,00) di Walter Benjamin. Questo libro postumo fu assemblato nel 1955 da Peter Szondi e ora viene riproposto con l'aggiunta di tre scritti e una prefazione di Claudio Magris. Si tratta di una serie di articoli-reportage, scritti negli anni fra il 1925 e il 1930 per giornali e riviste, sulle città dove al critico e saggista ebreo-tedesco per diverse ragioni capitava di soggiornare: Parigi, Marsiglia, Weimar, Napoli, San Gimignano e soprattutto Mosca. Per Benjamin la città moderna è un serbatoio sconfinato e labirintico di immagini, sogni e miti. Uno spazio di transito attraversato da energia, forze sconvolgenti, rovine polverose, utopie infrante e attese messianiche. Egli percorre e attraversa le città come un malinconico rabdomante, consegnandosi alla fantasmagoria delle forme e delle espressioni. Con il suo magistrale sguardo micrologico da detective metropolitano, le ritrae come miniature estranianti e seducenti. Attraverso l'accumulo di descrizioni caleidoscopiche, ci offre quasi delle istantanee che cercano di fissare l'effimero della vita. La porosità di Napoli che trabocca dall'architettura degli edifici, dalla ritualità cattolica e dalla vitalità stracciona del popolo; l'effervescenza proletaria e rivoluzionaria di Mosca che si riversa nell'esistenza collettiva delle strade; la graziosa e piccolo borghese Weimar di Goethe, la Parigi capitale del XIX secolo con i suoi passages dove si celebra il trionfo delle merci; la Marsiglia salmastra del porto, dell'hascisc e dei traffici miserabili; il borgo di San Gimignano racchiuso dalle sue mura e come sospeso tra cielo e campagna. Per Benjamin la città è un fitto e multiforme involucro di segni e desideri da decifrare, di indizi perduti e sepolti da riportare alla luce. Modulando flânerie surrealista e straniamento brechtiano, egli conduce il lettorealla deriva continua tra scorciatoie e deviazioni, prefigurando per certi versi il détournement dei situazionisti.Come lo stralunato e taciturno Palomar di Italo Calvino, egli sa che la superficie delle cose è inesauribile.In Infanzia berlinese Benjamin osservava acutamente che: “Non sapersi orientare in una città non significa molto. Ci vuole invece una certa pratica per smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta. I nomi delle strade devono parlare all'errabondo come lo scricchiolio dei rami secchi, e le viuzze del centro gli devono scandire senza incertezze, come in montagna un avvallamento, le ore del giorno. Quest'arte l'ho appresa tardi; essa ha esaudito il sogno, le cui prime tracce furono i labirinti sulle carte assorbenti dei miei quaderni”. Secondo Peter Szondi, nella poetica da collezionista ambulante di Benjamin permane sempre il ricordo dell'infanzia come fascinosa curiosità e apertura all'altro e al diverso. Egli non ricerca l'esotico e il pittoresco come qualsiasi turista contemporaneo. Al contrario il suo sguardo materialista e messianico è rivolto al futuro come promessa di felicità e di riscatto per gli esclusi e i vinti di sempre. Come sappiamo il viaggio tormentato di questo infelice ebreo errante terminerà tragicamente a Port Bou. Percorse le strade d'Europa in tempi bui come un profugo senza patria, “con la grande valigia in grembo”.

(recensione di Pierluigi Vuillermin)

1, ovvero di rito

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(questo blog non inizia)