domenica

Tutta un’altra musica-Nick Hornby (Guanda 2009)
a cura di Alessandro Pascale
Nick Hornby è cotto? Certo leggere Tutta un’altra musica non è entusiasmante e sorprendente come fu a suo tempo quel piccolo gioiello di Alta fedeltà, ma soprattutto c’è un’impressione che emerge ben nitida, soprattutto in riferimento al romanzo Un’eroe alternativo di Tim Thornton, uscito lo stesso anno: Hornby è scontato. Per qualcuno potrebbe essere anche un pregio questo, quasi una certezza che l’autore continui a sfornare prodotti di ottima qualità che giocano sul quadrato lui-lei-l’altro/a-musica. Perché, bisogna ammetterlo, la qualità della scrittura e dello stile è senz’altro sempre molto alta. Sul fatto che Hornby sappia scrivere non ci sono dubbi insomma, così come sappiamo che sa svolgere il suo mestiere, soprattutto in considerazione della sua abilità nel tessere i fili di trame che inevitabilmente appassionano e intrigano. E allora dov’è la scontatezza? Nel fatto che Hornby sembri sempre più un meccanismo ben oliato di un’industria cultural-narrativa assai poco dinamica, brava a riproporre sempre lo stesso prodotto (pur con le dovute sfumature ovviamente) al fine di consolare il lettore abitudinario e “fan” dell’autore.
Molto mestiere insomma, ma poca voglia di mettersi in gioco, poca passione e inventiva “vera” nello scrittore inglese, sempre più adagiato sugli allori di una carriera tra le più famose e commercialmente influenti dell’ultimo ventennio.
Eppure confrontando Tutta un’altra musica con L’eroe alternativo viene fuori un confronto impietoso, tanto è derivativo, scontato e un po’ inconcludente il primo, tanto è brioso, giovanile e fresco il secondo. Entrambi narrano di fatto la stessa storia, quella di un fan ossessionato dal proprio mito musicale per cui prova una passione quasi morbosa che impedisce di vivere una vita normale. Ma mentre nel primo caso c’è di mezzo una donna ormai sul viale del tramonto, con le conseguenti riflessioni sterili sui rapporti di coppia, dall’altra c’è una descrittività accentuata in grado di tirar fuori le trovate più affascinanti. Non staremo qui a parlare ulteriormente di L’eroe alternativo in quanto non è questa la sede opportuna, ma di quanto nonostante Hornby riesca tutto sommato a realizzare un romanzo intrigante, e a tratti anche avvincente, perda inesorabilmente il confronto con il collega britannico. Scottato senz’altro dalla genialità del romanzo altrui ma soprattutto dalla mancanza di contenuti che si installa su una forma altrimenti ottima. Davvero non si poteva pensare niente di meglio di una rockstar afflitta da mille problemi di famiglia e numerosi figli? Davvero si doveva buttare lì un finale così “non-finito”? Già me li vedo i proclami di Nick che si rifà all’indeterminatezza dell’essere umano, alla conseguente impossibilità di risolvere problemi tanto delicati come quelli sentimentali. Oppure orgoglioso di essersi rifiutato di scrivere uno scontatissimo happy ending tra baci e lenzuole indurite dal seme della vita. Ma a quale prezzo? Al prezzo di un’opera probabilmente terminata in maniera grezza perché troppo lunga, irresoluta, indefinita e infine azzoppata. Ma forse è solo un’impressione mia, forse sto esagerando. Anche perché gli spunti divertenti e piacevoli Hornby riesce ad accumularli in buona quantità, e forse le tante critiche sono dovute al fatto che ci aspettavamo un colpo di genio in più da uno che negli anni si è fatto amare per ovvi motivi. In ogni caso di sicuro Tutta un’altra musica non entrerà nella mia top five letteraria dell’anno. Tiè!
L’eroe alternativo-Tim Thornton (ISBN 2009)
a cura di Alessandro Pascale
Quello che ha realizzato Tim Thornton è qualcosa di sorprendente: creare dal nulla un gruppo musicale, descrivendolo in ogni suo dettaglio, discografia, testi delle canzoni, biografia, composizione dei membri, centralità del leader e suo carattere comprendente vari vezzi, difetti, amicizie e quant’altro. Il gruppo raccontato è quello dei Thieving Magpies, e il suo leader il bizzoso e sorprendente Alan Webster. Tutto inventato fin qui, frutto della fervida mente di uno scrittore sagace e creativo. Poi il colpo di genio: calare l’invenzione Thieving Magpies nel panorama musicale inglese tra fine anni ’80 e inizio ’90, buttandoli a capofitto nel circuito alternative (o indie, a seconda dei punti di vista) in un circuito fatto di festival vari (Reading, Glanstonbury), band più o meno affermate e note (Stone Roses, My Bloody Valentine, Boo Radleys, Carter USM, ecc.) e soprattutto fan veri e reali, riprodotti con una verosimiglianza sorprendente.
Clive Beresford è uno di questi: fan sfegatato dei Thieving Magpies assieme all’amico per la pelle Alan Potter, a differenza di quest’ultimo non è però riuscito ad uscire dal giro del circuito fanzinaro e della musica alternative, e nonostante la sua band del cuore si sia sciolta ormai da più di una decade è convinto che per mettere ordine nella sua vita, per molti versi ancora immatura e precaria, debba riuscire a mettere in luce un evento fondamentale della sua vita: il vero motivo della fine inattesa dei Thieving Magpies.
L’occasione di arrivare alla realtà e di compiere quel processo di formazione che finora ha mancato gli capiterà davanti quando scoprirà che Alan Webster, il suo vecchio idolo ormai dimenticato da tutti, si è trasferito proprio nel quartiere accanto al suo. Avvicinarlo e conoscerlo però non sarà un’operazione del tutto semplice e spontanea…
Nonostante vi sia un percorso di maturazione personale L’eroe alternativo non è un romanzo in stile Nick Hornby (come si diverte a dire la stessa voce narrante escludendo ogni possibile intreccio amoroso a tediare il lettore) nonostante alcune linee di fondo siano molto simili, come l’onnipresenza quasi ossessiva della musica, o la sensazione che in fin dei conti il fanciullino che è dentro ognuno di noi rimanga ben vivo perfino nel finale (pensate alla stessa sensazione emersa dai protagonisti di Alta fedeltà e Un ragazzo). Thornton è più sfumato e vivace di Hornby, di cui però mantiene quella freschezza artistica e quella passione musicale che solo a tratti traspare invece nelle opere di Jonathan Coe, accostabili all’Eroe alternativo solo in parte (mancano rispetto a Coe pagine drammatiche e tendenti ad un certo artistico languore) più per la capacità narrativa sorprendentemente fluida e spigliata.
Chi conosca almeno la metà dei riferimenti musicali fatti da Thornton godrà particolarmente della lettura del testo, ma l’opera è senz’altro godibile da chiunque, anche dall’individuo più sprovvisto musicalmente (il quale anzi potrebbe essere molto incuriosito ed essere preso dalla foga di approfondire sul meraviglioso mondo dell’indie-pop 80s).
Questo perché L’eroe alternativo è un libro “punk-pop” prima che essere un libro musicale. Un libro alternativo ma popolare, trasgressivo ma fino ad un certo punto, seguendo quelle linee di fondo delimitate da una società che accetta il “diverso” e il “ribelle” ma solo fino ad un certo punto (qualche pasticca ogni tanto, qualche tic e passione degenerata ok, niente di grave, perdi il lavoro ma non la faccia). Un’opera fatta di dialoghi e situazioni da gioventù degenerata, per certi versi ideale per la generazione attuale di 30-40enni che non si sono arresi all’idea di crescere del tutto ed eliminare ogni loro mania della fanciullezza (e sembra che in giro ce ne siano ancora tanti). La prosa sciolta ed i gustosi eventi che vanno a susseguirsi permettono quindi di catturare chiunque sia ancora dotato di quella minima scintilla data dal ricordo della propria gioventù. E alla fine tutti saranno presi dall’interrogativo: perché i Thieving Magpies si sono sciolti?
La Fortuna degli Zingari-Il’Ja Mitrofanov (2009 ISBN)
a cura di Alessandro Pascale

«Gli esseri umani sono più cattivi dei cani. Il cane morde, ma l’uomo ti sbrana vivo»
A parlare è la protagonista del romanzo, Sabina il suo nome. Una zingara. Una zingara bella ma sfortunata. E se la vita di uno zingaro è già difficile di per sé, dovendo affrontare giudizi e pregiudizi assai pesanti e infimi, quella di una donna zingara, bella, sfortunata e che decide di uscire dal “branco” lo diventa ancora di più. Diventa una caduta libera in precipizio, priva di qualsiasi paracadute di salvataggio in una società (il socialismo reale dell’URSS) che nonostante si professasse il manifesto della solidarietà e del bene comune risultasse di fatto un nido ideale di per la corruzione, la violenza, il degrado culturale e sociale. La fortuna degli zingari è quindi un libro sugli ultimi, quelli che davvero più in basso di così non possono stare, discriminati e frustati perfino da chi le frustate le prende da tutti.
L’URSS che Mitrofanov rappresenta è quella della periferia più estrema, quella della Bessarabia, regione danubiana al confine con la Romania, la cui capitale “reale” è un paesino di nome Achillea, assai diversa dalla lontana Mosca. La perifericità non è solo geografica ma anche narrativa. La scelta che si assume è infatti quella di vedere il mondo con gli occhi di Sabina, dapprima intellingente bambina cui viene portato via il padre, poi donna matura che trova la ragione della propria vita in Bògdan, pittore dal passato oscuro e afflitto da un sempre più esistenziale mal de vivre che lo condurrà alla pazzia.
La vita come un cerchio quindi, che si apre e chiude con disgrazie. In mezzo poca felicità e tanta cattiveria, cui la protagonista contribuisce ad alimentare in una lotta per la sopravvivenza. Così sono da vedere i furti cui è costretta a ricorrere. Così si spiega anche la frase iniziale, manifesto dell’anti-umanità, in cui i soggetti positivi sono pochissimi, compaiono di sfuggita, assai di rado, e non riescono a compiere azioni decisive per la salvezza degli individui.
Mitrofanov rappresenta la società sovietica come l’esatto contrario di come la propaganda di regime vorrebbe che fosse: nonostante la teorica abolizione delle classe e di concetti come individualismo e profitto le azioni della gran parte dei personaggi sembrano essere motivati da una cosa sola: i soldi, qui ridenominati dagli zingari con splendido effetto retorico dapprima “gli stalin” poi “i chruscev”.
La carica critica è spietata e raggiunge livelli di desolazione e violenza assoluti, assai distanti dalla rappresentazione sardonica e grottesca di un altro grande autore sovietico dissidente come Bulgakov. La spigliatezza e l’estremo realismo proletario della prosa rendono lo stile di Mitrofanov assai più prossimo di quella che doveva essere la società sovietica: socialista. L’intento politico di condanna del regime della sua corruzione imperante fa seguito alla critica delle iconografie, delle propagande totalitarie irreali, della scarsità di generi alimentari, del sistema sanitario e della mancanza di libertà di pensiero. Critica che avviene dal basso, facendo vedere nell’immediato le modalità e lo stile di vita della società sovietica, specie per gli strati più umili, perennemente in lotta tra loro. In tutto questo scenario l’amore che si fa largo in Sabina diventa un evento davvero unico, un motivo per cui dedicare tutta la propria vita. C’è in fondo un senso semplice ma profondo nell’opera di Mitrofanov. Chiudiamo ricordando che il libro è la seconda parte di una trilogia iniziata con Il testimone (ISBN 2007) e che si chiuderà con La fontana di Odessa (ISBN 2010).