sabato

Non piangere coglione-Amedeo Romeo (ISBN 2010)

a cura di Alessandro Pascale

Il primo romanzo di Amedeo Romeo (in passato autore e regista teatrale nonché traduttore e autore di libri per bambini e ragazzi) è una roba veramente deflagrante e scoppiettante: ritmo a mitraglia, piglio giovanile, linguaggio accattivante, surrealismo andante e una tecnica letteraria che rielabora con italica precaria freschezza lo stream of consciousness britannico di una volta (Joyce, Wolf, ecc). La storia di Andrea Morini, trentenne non più giovane che passa le giornate nel torpore più assoluto, eccitandosi alla visione di una qualsiasi donna incinta e all’odore delle creme per le smagliature da loro usate, è una storia perversa che potrebbe a prima vista rievocare il più cristallino stampo bukowskiano. E’ giusto solo in parte in realtà, perché se è vero che non mancano descrizioni dettagliate di fantasie erotiche ed esperienze sessuali masturbatorie (clamorosa quella in cui il protagonista si tocca lasciandosi sprofondare in vasca e canticchiando l’Internazionale sott’acqua) e complete (i numerosi rapporti con Lena, donna incinta all’ottavo mese che si legherà a lui in un rapporto molto speciale), bisogna anche constatare la profonda poesia e il ritmo narrativo pop che permeano molti passaggi dell’opera, dandogli un tocco di classe e di raffinatezza davvero notevoli. La vera distanza con Bukowski però sta nell’esistenzialismo e nello psicologismo continuamente sottesi e oggetto di domanda, laddove l’autore americano di dubbi ne aveva ben pochi, preferendo concentrare l’attenzione su un descrittivismo asciutto e sicuro di sé.
Il vero valore aggiunto dell’opera è la costruzione di un personaggio complesso e variegato come il protagonista: apparentemente disadattato, incapace di mantenere uno stile di vita regolare, immaturo, irresponsabile, egocentrico, probabilmente pervaso da turbe psichico-sessuali (vorrebbe essere donna e provare l’esperienza della maternità) Andrea Morini è lo specchio di una generazione di trentenni che è andata molto in là rispetto ai coetanei dell’Ultimo bacio, rifiutando in toto lo stile di vita borghese in ogni sua forma, non solo in quella social-religiosa della famiglia tradizionale con moglie e figli. Ha lasciato incinta due ragazze diverse per poi abbandonarle subito. Ha perso ogni sogno, passione o illusione che la propria vita possa regalargli qualcosa di buono. Il suo completo abbandono della razionalità meditata a discapito di un primitivo e selvaggio “istintismo” animale contrastano nettamente con la rigidità e le regole della società circostante e sono un motivo ricorrente che crea un effetto comico esilarante. Il finale è simbolico e sancisce la conclusione di un lungo percorso di formazione durato vent’anni, al termine del quale il protagonista riacquista la sua dignità di uomo, e si prepara ad affrontare finalmente quel mondo fatto di responsabilità senza svendere del tutto la propria natura individuale e anarchica, ma trovando in Lena, anch’essa in una certa maniera distaccata da certi “canoni classici”, il giusto punto di equilibrio per recuperare un senso della socialità e del valore dei rapporti umani basilari. Non piangere coglione è un’opera che vi farà morire dal ridere, talvolta vi scioccherà, infine avrete forse anche un brivido di disgusto, ma se siete di larghe vedute non potrete non apprezzarlo. NB: Astenersi bigotti perditempo e clericali reazionari.

giovedì

L’inedito di Hemingway-David Belbin ( ISBN 2010)

a cura di Alessandro Pascale

ISBN strikes again! Per chi avesse ancora particolari dubbi L’inedito di Hemingway è la conferma che la casa editrice diretta da Massimo Coppola è una delle realtà più importanti dell’industria letteraria italiana odierna. Che sia saggistica, narrativa o poesia, non c’è mai da annoiarsi, anzi si ride, si riflette, si rimane affascinati dalla suggestione creata da lavori di altissimo livello.
L’inedito di Hemingway ad esempio, è una splendida prosa sciolta che scivola via come un fresco gelato in una torrida giornata estiva. La scorrevolezza della narrazione e l’utilizzo di un lessico popolare (senza essere volgare) sono caratteristiche che l’autore, David Belbin, si porta senz’altro dietro dai fortunati trascorsi nella narrativa per ragazzi (opere di successo come I fabbricanti di nebbia e Lezioni d’amore), messe da parte per il vittorioso approdo alla letteratura per adulti. Non pienamente inserita nel duro mondo degli adulti siamo in realtà di fronte ad un’opera “di mezzo”, che mantiene un occhio privilegiato per l’età adolescenziale dalla quale il protagonista, Mark Trace, esce progressivamente e quasi inconsapevolmente, raggiungendo gradualmente l’emancipazione lavorativa, le prime avventure sessuali e la capacità di ingannare il prossimo. Il tutto però senza riuscire ad assumere uno status di vita regolare secondo i canoni della morale borghese, mantenendo anzi intatta la capacità di farsi guidare dal proprio più grande sogno: diventare uno scrittore. Un romanzo di formazione insomma, che si districa tra scadenti riviste di provincia, incontri con donne emancipate e ragazzine alle prime armi, scrittori in erba di dubbio successo e vecchi editori omosessuali. Ma soprattutto trionfano loro: i classici del Novecento, quei grandi autori che per la vicinanza storica non sono ancora studiati come dovrebbero dalle università, e la cui grandezza è oggetto di disputa tra critici di dubbia attendibilità.
Mark sogna di diventare uno di loro, ma il suo talento pare consistere unicamente nel riuscire a imitare alla perfezione lo stile dei vari autori. Forse col tempo riuscirà a trovare uno stile personale e a raggiungere la fama internazionale, ma nel frattempo per vari motivi ottiene apprezzamenti indiretti grazie a brevi racconti che spaccia come opere di autori del calibro di Hemingway e Greene. Senza spoilerare troppo ci limitiamo a constatare la bravura dell’autore nel riuscire a fondere una prosa agile, fresca e giovanile con una serie di riflessioni di notevole spessore: impossibile infatti non rilevare il nucleo originale dell’opera: la letteratura che imita la letteratura, o meglio la letteratura che racconta di un imitatore della letteratura altrui. Si viaggia tra Calvino e Borges insomma, mantenendo però un tasso di maggiore concretezza rispetto al primo e minore spessore filosofico (o se volete: di maggiore colloquialità) rispetto al secondo.
Insomma se non sono stato abbastanza chiaro, questa è materia di primissima qualità.