martedì

Theodor F. Grossmarch, un amico inquieto

Peter Fahresacht all'epoca delle grandi crociate avrebbe, per le sue acute posizioni, probabilmente ricevuto una scomunica direttamente da papa Urbano II. Durante la guerra del Peloponneso, poi, avrebbe sicuramente levato la sua voce contro Alcibiade e le sue malefatte. Forse sarebbe stato un attento seguace del dottore invincibile Guglielmo e, sicuramente, un fiero oppositore del triste appello heideggeriano ai suoi studenti. 
l'Enciclopedia Britannica ovviamente ignora queste speculazioni affatto metafisiche e alla voce Peter Fahresacht riporta soltanto tre righe commemorative per questo sfortunato essere umano che vide nell'attivismo marxista una via di salvezza e nell'amore per l'uomo (e devo confessarlo soprattutto per la donna) il mezzo per il suo raggiungimento. 
Mi ricordo con affetto di quel signore distinto, incredibilmente sempre elegante e cordiale. Lo conobbi in un café di Parigi, in cui mi recavo saltuariamente, nella mia solitudine francese, per giocare a scacchi o fumare qualche buon sigaro. Non era un grande scacchista, ma la passione con cui poteva muovere le figure mi commosse fin dal terzo scacco matto che gli diedi.
Se ricordo Peter Fahresacht (è bene che lo leggiate alla tedesca) è perché ora, a posteriori, molti giornalisti da quattro soldi straparlano e i corsivi di quei cialtroni mi irritano a tal punto da potere accettare di pubblicare un articolo, anch'io, su un giornale.
Si dice che collezionasse libri antichi, cosa non del tutto inverosimile, sebbene non adatta, credo, a quel fare così poco mansueto. A volte mi domandavo se in effetti fosse soltanto per sfortunate circostanze che si trovasse perennemente in stato d'allerta: mi ricordo il suo sguardo allucinato, simile ad un pesce nervoso, non appena lo si chiamasse con il suo nome di battesimo. 
Certo le sue intricate esperienze avevano dovuto contribuire a quel suo certo tipo di inquietudine, eppure, come d'altronde dicevo già nell'incipit di questo brevissimo epitaffio, in nessun periodo storico, temo, avrebbe potuto essere realmente quieto, né avrebbe potuto coltivare il mio stesso atarassico otium. Non, almeno, fino a quando ogni uomo non avrebbe potuto dirsi realmente felice; (se a quel punto lui stesso avrebbe potuto considerarsi felice, e come, è una domanda che sfocia nella metafisica).
Se posso permettermi ancora un'ultima immagine. (l'editore per questo non dovrà pagare nessun sovrapprezzo: da qui in poi scrivo gratuitamente, specifico, però, da qui in poi):
Mi trovavo, anzi ci trovavamo entrambi, in un periodo buio della nostra vita. Molti pesi ci gravavano sulle spalle, inutile dire che avevano, questi pesi, due bei nomi femminili francesi. Insomma dopo l'ennesimo sigaro Partagàs decidemmo di uscire per un po' dalla metropoli per prenderci una boccata d'aria e finire magari nella profumata Provenza. Io sotto braccio avevo come sempre in certi momenti i miei amati tedeschi: Holderlin, Hegel, Walser; invece, come c'era da aspettarselo Peter, avendo allora qualche lustro in più di me e trovandosi in quel periodo della vita in cui ogni hegeliano riconsidera o rilegge - badate bene, non sono quasi mai due azioni collegate - Schopenhauer, si portò dietro soltanto un libricino di un francese tale Blanqui. Tutto questo per dire che in seguito ad una lunga discussione su Gidék, e sul suo libro fresco di maledizone papale: le cave del vaticano; arrivati sulle spiagge mediterranee scoprimmo di essere, quasi, felici e soprattutto un po' meno soli. 
Seguì, inutile dirlo, una settimana di completo otium. Non facemmo altro, ovviamente, che leggere Holderlin.

(da saggi e interventi, Theodor F. Grossmarch feltrinelli 1972)

(nuova traduzione a cura di Gilles Gressani)

1 commento:

Anonimo ha detto...

carissimo signor Gilles,
vorrei se possibile che lei mi ordinasse una copia del libro.
grazie
Aliberto Pennelli