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L’invenzione dell’economia-Serge Latouche (Bollati Boringhieri 2010)

a cura di Alessandro Pascale

Lo confesso subito: la lettura dell’ultimo testo di Latouche è stata un’opera alquanto impegnativa e per certi versi impervia. Pur essendo molto fresco di studi (filosofici et similia) è stato infatti assai arduo riuscire a stare dietro a tutti i sistemi di pensiero, le citazioni, i paroloni di cui è composta complessivamente l’opera. Non un testo facile quindi, né di scorrevole lettura. Piuttosto un manuale da utilizzare con estrema cautela, che meriterebbe una particolare attenzione per l’enorme quantità di contenuti che presenta al lettore.

Contenuti vecchi e nuovi, in quanto L’invenzione dell’economia altro non è che una raccolta di saggi scritti ieri e anche l’altro ieri, disposti in maniera un po’ dispersiva lungo una scaletta che lungi dal voler essere esauriente ed esaustiva appare per l’appunto una serie di frammenti, seppur dottissimi e accuratissimi. Nella mia confessione aperta non posso omettere che la serie dei saggi non è di interesse uniforme, bensì a scritti più intriganti e divulgativi (sia per tema che per linguaggio usato) se ne alternano altri talmente verbosi e (sic!) inerpicabili da rendere impervia qualsiasi scalata logica. Dovendo fare il punto si segnalano come particolarmente interessanti i saggi su “L’invenzione del lavoro nell’immaginario sociale”, “Mandeville, ovvero la svolta della filosofia occidentale”, “Il lusso ghigliottinato”, “L’autodistruzione dell’umanesimo liberale” e qualcosina de “L’antieconomico di Aristotele”. Oltre ovviamente alla conclusione, assai più attuale e “politica” per gli accenni alla contemporaneità.

Nel complesso però vorrei mettere in guardia il lettore che si aspetta una rappresentazione lineare e didattica della nascita (o dell’invenzione) dell’economia. Un’opera del genere, lo precisa bene anche l’autore, è probabilmente impensabile per le possibilità di un solo individuo. Occorrerebbe infatti un lavoro enciclopedico, dagli esiti incerti, difficilmente oggettivi e in definitiva di dubbio valore scientifico. E’ difficile infatti trovare una via d’uscita unanime ed obiettiva dalle analisi di Latouche, che dal canto suo non lesina sulle buone vecchie citazioni marxiste, lanciate qua e là come àncore di salvezza per i lettori naufraghi. E confesso che non posso evitare di trattenere un sorrisetto malizioso ogni volta che constato che come il buon vino le massime marxiane sembrano migliorare col tempo, restando più valide che mai.

L’atteggiamento complessivo (ed è senz’altro il più grande pregio dell’opera) di Latouche è però quello di smontare ogni certezza dal punto di vista del pensiero economico. Viene messo in rilievo come ogni concetto dato oggi per assodato non sia nient’altro che una precisa invenzione storica del pensiero umano. Avvolti nel calderone di suggestioni, autori sconosciuti e citazioni sapienti una certezza emerge facendosi largo e scolpendosi nel marmo: appare infatti chiara la relatività morale, culturale e filosofica di cui è imperniata ogni attività economica che ci circonda. E un libro che smonta certezze è senz’altro un libro che val la pena di esser letto.

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