venerdì

Rock the casbah!-Mark LeVine (ISBN 2010)

a cura di Alessandro Pascale

Se vi interessa conoscere in maniera approfondita il mondo islamico “non convenzionale”, quello che rappa testi sacri come inni di protesta politica, o che scatena riff metal infuocati ritrovandosi in cantine per aggirare la censura, o che sfrutta i blog per diffondere musiche punk e rock diventando tra i siti più cliccati del Medio Oriente, se vi interessa conoscere almeno una parte di come realmente si svolge la vita in paesi come Marocco, Libano, Pakistan, Palestina, Egitto e Libano, allora Rock the casbah! è il libro che fa per voi.
La bellezza dell’opera di Mark LeVine non è solo quella di farci conoscere un mondo musicale assolutamente ignoto, ma anche di riuscire a far emergere le mille sfumature del mondo islamico (e non solo, Libano e Israele docent), molto più variegato e complesso di quanto è solito credere la maggior parte della gente comune che parla per sentito dire (magari dalla Lega…) o per dare aria alla bocca.
Ad esempio viene affrontata la questione del rapporto tra metal e islam: l’heavy metal ha sempre avuto anche in Occidente una pessima fama in certi ambienti, accusato di satanismo, immoralità, istigazione alla violenza, occultismo e via dicendo. Apparentemente sembrerebbe inconciliabile con la religione islamica, tant’è vero che non mancano gli estremisti (particolarmente grave è la situazione dell’Iran) che cercano di ostracizzarlo, soffocarlo e reprimerlo con ogni forza, anche per la sua origine d’importazione occidentale. Eppure ci sono anche moltissimi religiosi che non vedono inconciliabilità tra i due campi, e anzi in certi casi ne vedono addirittura dei vantaggi positivi.
Emerge che il vero motivo di soffocamento dei movimenti musicali underground è in realtà di origine politica: gran parte dei governi del Meda sono infatti democrazie unicamente di facciata, il cui sistema politico corrotto è sostenuto e legittimato dalle politiche imperialiste e neocolonialiste degli USA, che non per niente diventano spesso oggetto di odio e di invettiva, identificati come il vero grosso problema che impedisce ai popoli arabi di nutrire speranza in un prossimo cambiamento politico futuro.
In questo contesto illiberale le musiche “alternative” sono in molti casi l’unica forma di opposizione possibile: non in un’ottica di scontro frontale con il regime (che sarebbe suicida) ma di creazione di sottoculture caratterizzate pubblicamente solo da un’alterità musical-culturale, che solo nel privato si espone a livello di critica politica.
Borgna in passato ha detto che una rivolta immaginaria (ossia culturale) apre la porta alla vera rivolta politica, ed in ogni caso va vista come un fattore positivo, in quanto permette l’uscita dall’omologazione social-culturale e la formazione di un gruppo critico in grado di trasformarsi in qualcosa di più pericoloso per le istituzioni. E’ quello che è successo nel ’68 in fondo, con l’avvio di una fase che in Italia si è prolungata per un decennio.
Quello che LeVine si augura spesso durante l’opera infatti è la saldatura di questi movimenti di controcultura con i nuclei politici più progressisti. Gli uni senza gli altri da soli non hanno altre possibilità che quelle di vivacchiare tra mille pericoli, ma la loro unione potrebbe portare un giorno al tracollo dei governi autocratici e illiberali della quale conservazione siamo responsabili soprattutto noi occidentali. La storia ci farà sapere come andrà a finire.

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