giovedì

L’inedito di Hemingway-David Belbin ( ISBN 2010)

a cura di Alessandro Pascale

ISBN strikes again! Per chi avesse ancora particolari dubbi L’inedito di Hemingway è la conferma che la casa editrice diretta da Massimo Coppola è una delle realtà più importanti dell’industria letteraria italiana odierna. Che sia saggistica, narrativa o poesia, non c’è mai da annoiarsi, anzi si ride, si riflette, si rimane affascinati dalla suggestione creata da lavori di altissimo livello.
L’inedito di Hemingway ad esempio, è una splendida prosa sciolta che scivola via come un fresco gelato in una torrida giornata estiva. La scorrevolezza della narrazione e l’utilizzo di un lessico popolare (senza essere volgare) sono caratteristiche che l’autore, David Belbin, si porta senz’altro dietro dai fortunati trascorsi nella narrativa per ragazzi (opere di successo come I fabbricanti di nebbia e Lezioni d’amore), messe da parte per il vittorioso approdo alla letteratura per adulti. Non pienamente inserita nel duro mondo degli adulti siamo in realtà di fronte ad un’opera “di mezzo”, che mantiene un occhio privilegiato per l’età adolescenziale dalla quale il protagonista, Mark Trace, esce progressivamente e quasi inconsapevolmente, raggiungendo gradualmente l’emancipazione lavorativa, le prime avventure sessuali e la capacità di ingannare il prossimo. Il tutto però senza riuscire ad assumere uno status di vita regolare secondo i canoni della morale borghese, mantenendo anzi intatta la capacità di farsi guidare dal proprio più grande sogno: diventare uno scrittore. Un romanzo di formazione insomma, che si districa tra scadenti riviste di provincia, incontri con donne emancipate e ragazzine alle prime armi, scrittori in erba di dubbio successo e vecchi editori omosessuali. Ma soprattutto trionfano loro: i classici del Novecento, quei grandi autori che per la vicinanza storica non sono ancora studiati come dovrebbero dalle università, e la cui grandezza è oggetto di disputa tra critici di dubbia attendibilità.
Mark sogna di diventare uno di loro, ma il suo talento pare consistere unicamente nel riuscire a imitare alla perfezione lo stile dei vari autori. Forse col tempo riuscirà a trovare uno stile personale e a raggiungere la fama internazionale, ma nel frattempo per vari motivi ottiene apprezzamenti indiretti grazie a brevi racconti che spaccia come opere di autori del calibro di Hemingway e Greene. Senza spoilerare troppo ci limitiamo a constatare la bravura dell’autore nel riuscire a fondere una prosa agile, fresca e giovanile con una serie di riflessioni di notevole spessore: impossibile infatti non rilevare il nucleo originale dell’opera: la letteratura che imita la letteratura, o meglio la letteratura che racconta di un imitatore della letteratura altrui. Si viaggia tra Calvino e Borges insomma, mantenendo però un tasso di maggiore concretezza rispetto al primo e minore spessore filosofico (o se volete: di maggiore colloquialità) rispetto al secondo.
Insomma se non sono stato abbastanza chiaro, questa è materia di primissima qualità.

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