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Il Nemico - Emanuele Tonon (ISBN 2009)
a cura di Alessandro Pascale
"Un romanzo eretico, disturbante e maledetto Tra vita quotidiana e invettiva spirituale, uno spaccato struggente e indimenticabile del Nordest italiano profondo"
Rimasto piuttosto sconvolto per la lettura de Il Nemico e dovendone scrivere qualche riga di commento non ho potuto astenermi dall’andare a pescare per il web un po’ di impressioni e recensioni più o meno articolate. In questa ricerca ho trovato un’impressione che nella sua concisione più di altri mi ha fatto riflettere. Un lettore commentava il libro semplicemente così: “la cognizione del dolore”.
Il richiamo all’opera magistrale di Gadda mi ha fatto subito pensare alle profonde similarità e differenze che le due opere hanno. Il dolore soprattutto. Il Nemico è un romanzo che parla di dolore, tanto dolore. Un dolore veramente struggente e tragico, espresso con foga e rabbia, nonché con una precisa coscienza su chi sia il vero nemico, sia in terra che in cielo. Si è descritto infatti questo romanzo come tendezialmente antireligioso o filosofico ma ciò non è del tutto vero, anzi lo è solo in minima parte.
Se è vero infatti che la negazione di un Assoluto positivo è totale non altrettanto vero è che si scada in un bieco materialismo neorealista. Piuttosto si rimane sospesi in un limbo di crudezza e individualistico dolore da cui non si riesce praticamente a uscire se non attraverso una prosa ai limiti della pornografia. Arriviamo qui ad altri due aspetti che accomunano le opere di Gadda e Tonon: la radicale eterogeneità del linguaggio e dello stile, oltre al carattere di rottura completa con l’ambiente intellettuale dominante.
La cognizione del dolore era un romanzo difficile, per certi versi ancora acerbo (in parte per l’incompiutezza dovuta alla morte dell’autore, in parte per una precisa scelta attitudinale) e in definitiva un tuffo nella psicologia più malsana della borghesia media d’epoca fascista. Un’opera di rottura completa quella di Gadda, tanto che gli venne attribuito da qualche critico una certa rilevanza neanche troppo implicitamente politica, sia per la trama che per la sua totalità (pensiamo a cosa volesse dire creare un protagonista borghese disturbato mentalmente o scrivere larghi tratti in dialetto nell’Italia romanocentrica di fine anni ’30).
Tonon è anch’esso radicale e rivoluzionario, nel suo piccolo: le cento pagine del suo romanzo sono divise perfettamente in due parti. La prima parte è un vero e proprio grido di rabbiosa denuncia (di Antonioni-ana memoria verrebbe da dire dando uno sguardo al cinema) per la condizione della classe operaia del civilizzato ed avanzato Nord-Est: quello che oggi è il feudo della Lega, quello che per trovare la Sinistra bisogna andarla a cercarla col lumicino.
Tonon, teologo-operaio, rilancia una protesta che sembrava ormai morta, e lo fa con una prosa talmente cruda e disperata da diventare sconvolgente. Il motivo conduttore vincente diventa l’associazione tra le disgrazie causate dalla fabbrica (e dai padroni, non imprenditori, padroni!!!) e la morte prematura del padre, conclusione ineluttabile di una lunga agonia dovuta al cancro. Una storia come tante, troppe, purtroppo, ma che diventa linfa per il protagonista, incapace di assorbire il lutto e di andare avanti, ricominciando a vivere normalmente. Ne escono delle pagine commoventi e lacrimevoli per l’alto tasso di immedesimazione con un protagonista sconfitto in ogni ambito della sua vita, vero e proprio anti-eroe.
La seconda parte del romanzo si fa ancora più ispida e l’atmosfera più grottesca, l’aria rarefatta ed evanescente, il flusso interiore di pensieri portato alle estreme conseguenze. Ruotando attorno al motivo conduttore di una coppia spentasi sessualmente e vitalisticamente alla notizia di non potere avere figli, Tonon costruisce un impianto ancora più esplicitamente anti-borghese, stavolta facendo leva su una descrizione certosina di ogni tipo di depravazione sessuale e fisica, a cui non può esserci altro esito che quello dell’esaltazione della morte in contrapposizione a quel Dio cattolico di cui ormai è definitivamente accertata non l’indifferenza, ma la completa assenza. Pagine in cui la moralità scompare, e per questo terribilmente difficili da reggere perfino per un lettore tendenzialmente progressista e colto.
In definitiva è un pugno nello stomaco Il Nemico, romanzo difficile ma affascinante, di spirito operaio ma profondamente intelletualistico e psicologico. Soprattutto un’opera che non ama le mezze misure, né ha timore di spiattellare tutte le verità scomode che troppo spesso scrittori e lettori borghesi tendono a mettere in disparte nel loro falso progressismo. Tuttavia se c’è una cosa che ci ha insegnato Conrad in Cuore di tenebra è questa: l’orrore va visto fino in fondo per cogliere l’essenza della verità. E questo è esattamente ciò che fa Tonon, e come ha fatto a suo tempo Gadda.

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