mercoledì

Altai-Wu-Ming (Einaudi 2009)

a cura di Alessandro Pascale

Altai è un romanzo intrigante. Intrigante e ben scritto. Ma sulle capacità tecniche del collettivo Wu Ming non avevamo dubbi, visti i trascorsi fatti di successi anche clamorosi come nel caso di Q (1999). L’intrigante è allora forse da ricercare per le caratteristiche del cosiddetto New Italian Epic con cui i Wu Ming hanno inteso lanciare e ufficializzare un nuovo tipo di narrativa fondata in particolare sul romanzo storico.

Altai segue questi canoni, e narra di un importante membro dei servizi segreti veneziani (siamo nel 1569) che viene incastrato e costretto a fuggire, causa della scoperta di una sua nascosta identità ebraica. Troverà rifugio presso lo storico nemico Yossef Nasi, nobile ebreo al servizio del Sultano Selim II, personaggio ambizioso che nutre un sogno: diventare il re di un luogo aperto a tutti i perseguitati, siano essi ebrei o meno. Nel frattempo il sior De Zante recupererà la sua identità ebraica e con convinzione tornerà ad essere Manuel Cardoso, mettendosi al completo servizio dell’Impero Ottomano contro la vecchia patria Venezia.

Scoprendo per di più che i tanto temuti musulmani sono di fatto molto più cosmopoliti e tolleranti rispetto all’Occidente Cristiano. Altai è un romanzo di intrighi amorosi, battaglie, complotti di palazzo, sangue, ritratti eroici ma umani e splendide descrizioni cromatiche e dialoghi affabili alla portata di tutti.

E’ una storia che parla di sogni, di incubi e di disastrose cadute nel realismo tranchant in grado di far morire il cuore di un uomo. E’ una storia di conversioni e di potere, di alto potere. Ma nonostante l’ottica “dall’alto” e per certi versi molto “politico-istituzionale” degli eventi Altai riesce a descrivere con realismo la psicologia di un manipolo di personaggi a tutto tondo, sia tra i ceti alti che tra quelli più bassi, cogliendo particolari realistici estremamente raffinati.

E’ un romanzo politico, sia per le logiche religiose esplicitamente in primo piano (non sorprende che ciò arrivi in un momento in cui l’Italia si scopre sconvolta di compiacere le pratiche razziste della Lega Nord), sia per i rimandi filosofici che affiorano più lentamente e sottotraccia: la smentita del fatto che il fine giustifichi i mezzi (come avrebbe detto Machiavelli) a discapito di una massima che sancisce come siano in realtà i mezzi a giustificare il fine (massima del “vecchio saggio” Ismail nel libro, di Albert Camus nella realtà).

A ricordare che le utopie si possono costruire, ma devono avere un retroterra concreto e solido. E che mai bisogna sacrificare i propri ideali per la costruzione di un ideale più grande. Decisamente tutte indicazioni politiche molto chiare…

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