a cura di Alessandro Pascale
Il primo romanzo di Amedeo Romeo (in passato autore e regista teatrale nonché traduttore e autore di libri per bambini e ragazzi) è una roba veramente deflagrante e scoppiettante: ritmo a mitraglia, piglio giovanile, linguaggio accattivante, surrealismo andante e una tecnica letteraria che rielabora con italica precaria freschezza lo stream of consciousness britannico di una volta (Joyce, Wolf, ecc). La storia di Andrea Morini, trentenne non più giovane che passa le giornate nel torpore più assoluto, eccitandosi alla visione di una qualsiasi donna incinta e all’odore delle creme per le smagliature da loro usate, è una storia perversa che potrebbe a prima vista rievocare il più cristallino stampo bukowskiano. E’ giusto solo in parte in realtà, perché se è vero che non mancano descrizioni dettagliate di fantasie erotiche ed esperienze sessuali masturbatorie (clamorosa quella in cui il protagonista si tocca lasciandosi sprofondare in vasca e canticchiando l’Internazionale sott’acqua) e complete (i numerosi rapporti con Lena, donna incinta all’ottavo mese che si legherà a lui in un rapporto molto speciale), bisogna anche constatare la profonda poesia e il ritmo narrativo pop che permeano molti passaggi dell’opera, dandogli un tocco di classe e di raffinatezza davvero notevoli. La vera distanza con Bukowski però sta nell’esistenzialismo e nello psicologismo continuamente sottesi e oggetto di domanda, laddove l’autore americano di dubbi ne aveva ben pochi, preferendo concentrare l’attenzione su un descrittivismo asciutto e sicuro di sé.
Il vero valore aggiunto dell’opera è la costruzione di un personaggio complesso e variegato come il protagonista: apparentemente disadattato, incapace di mantenere uno stile di vita regolare, immaturo, irresponsabile, egocentrico, probabilmente pervaso da turbe psichico-sessuali (vorrebbe essere donna e provare l’esperienza della maternità) Andrea Morini è lo specchio di una generazione di trentenni che è andata molto in là rispetto ai coetanei dell’Ultimo bacio, rifiutando in toto lo stile di vita borghese in ogni sua forma, non solo in quella social-religiosa della famiglia tradizionale con moglie e figli. Ha lasciato incinta due ragazze diverse per poi abbandonarle subito. Ha perso ogni sogno, passione o illusione che la propria vita possa regalargli qualcosa di buono. Il suo completo abbandono della razionalità meditata a discapito di un primitivo e selvaggio “istintismo” animale contrastano nettamente con la rigidità e le regole della società circostante e sono un motivo ricorrente che crea un effetto comico esilarante. Il finale è simbolico e sancisce la conclusione di un lungo percorso di formazione durato vent’anni, al termine del quale il protagonista riacquista la sua dignità di uomo, e si prepara ad affrontare finalmente quel mondo fatto di responsabilità senza svendere del tutto la propria natura individuale e anarchica, ma trovando in Lena, anch’essa in una certa maniera distaccata da certi “canoni classici”, il giusto punto di equilibrio per recuperare un senso della socialità e del valore dei rapporti umani basilari. Non piangere coglione è un’opera che vi farà morire dal ridere, talvolta vi scioccherà, infine avrete forse anche un brivido di disgusto, ma se siete di larghe vedute non potrete non apprezzarlo. NB: Astenersi bigotti perditempo e clericali reazionari.
sabato
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