La Quercia. Storia sociale di un albero di William Bryant Logan
(Bollati Boringhieri 2008, 253 pagine, 25 euro)
Il discorso sulle radici sembra oggi quanto mai diventato fondamentale. E certamente non è un caso se nella nostra epoca di passioni tristi, angosce e incertezze si cerchi disperatamente da qualche parte un appiglio a cui aggrapparsi; che siano spalle di giganti oppure rami poco importa.
A questo proposito ricordo con molta devozione il compositore italiano contemporaneo Francesconi che all'inaugurazione dello scorso festival musicale MiTo, in un intervento fine e densissimo, sosteneva fosse importante traslare, anche se di poco, il significato di "radice". Perché, certo, le radici sono la parte sotterranea, d'essenziale importanza, che ci fissa al terreno e che ci permette nella bella immagine di Bernardo di Chartres di sollevarci sui giganti; tuttavia, ed è certo più importante, le radici forniscono la linfa vitale.
Sicuramente Francesconi (compositore su cui sarà necessario fermarsi almeno un poco a riflettere) e William Bryant Logan, arboricoltore di grande talento nonché scrittore fluido e appassionante, hanno in comune ben poco, se non un interesse per l'uomo completamente libero da retoriche, facilonerie, pseudoreligiosità; e per le sue radici finalmente vitali.
Non ci sembra quindi strano se proprio ponendo al centro dei proprio interessi l'uomo, Logan scrive della quercia: l'albero per eccellenza antropobiotico.
(recensione a cura di Gilles Gressani)
(questo libro è stato scelto come libro del mese di settembre da Alberto, Piero ne ha parlato nella sua rassegna "cinque libri a settimana")
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